SHARDON - Le ragioni del vento
Shardon
TITOLO
‘…cum in Sicilia diu feliciter dimicassent, translato in Sardiniam bello, amissa majore exercitus parte, gravi proelio victi sunt.
Propter quod ducem suum Maleum,….cum parte exercitus, quae supersuerat, exulare iusserunt.’

Iustinus M. I. , XV, 7, 1




Sesto secolo avanti Cristo. Cartagine ha iniziato la sua inesorabile espansione nel Mediterraneo.
Malco, suo valoroso generale che ha vittoriosamente combattuto in Sicilia, sottomettendo alcune città, decide, tra il 545 il 540 a.C., di portare la guerra in Sardegna, per consolidare l’autorità di Cartagine e aggiungere nuove conquiste.
Shardon, l’eroe eponimo che combatte senza scudo, con una spada in ogni mano, e i
suoi alleati delle città costiere confederate devono difendersi uniti contro un aggressore molto più forte e organizzato.
Non esitano perciò a mettere in atto una serie di astuzie tattiche e di agguati, che alla fine porteranno loro a una prestigiosa vittoria e il generale cartaginese ad una pesante sconfitta
Durante i festeggiamenti due inspiegabili e atroci delitti sconvolgono l’ospitale e operosa città di Tharros, gettando l’ombra del sospetto sul campo dei guerrieri shardani.
La guerra continua con l’attacco e la distruzione, da parte dei confederati, della fortezza sul monte Sirai.
Torna la pace, ma Shardon e la delicata Sìbel devono reprimere sul nascere un amore impossibile.
Mentre le città confederate e i popoli dell’interno, pur nell’entusiasmo della vittoria, preparano fortificazioni e consistenti rifasci murari delle loro ciclopiche fortezze nuragiche, presagendo un non lontano ritorno punico, Malco, esiliato prima e condannato a morte poi dalla sua severissima patria, Cartagine, che mal sopporta la sconfitta, va incontro ad un penoso e disonorevole destino.
Svelato il mistero dei due omicidi, nel silenzio dei monti e in un mare di accattivante bellezza del tutto indifferente alle vicende umane, anche il destino di Shardon e di Calìna, la sua sposa, volge a un inatteso, triste epilogo.
Inserire testo
Presentiamo in anteprima alcune pagine del romanzo inedito "SHARDON - Le ragioni del vento".
Sono graditi eventuali considerazioni e suggerimenti.
Qualche settimana prima, alla fine di settembre, vicino a Conasa.


LE SCORRERIE

A qualche miglio dallo Scinà, disteso su morbide pelli in una capanna di frasche, Shardon ripensava agli avvenimenti di quegli ultimi giorni e si chiedeva quale sarebbe stato
l’ atteggiamento delle città sardano-fenicie nei suoi confronti, una volta fugato il pericolo cartaginese.
Lo sguardo assorto, nel viso virile dai lineamenti marcati ma gradevolmente delineati, denotava agilità di pensiero unito ad equilibrio interiore.
I lunghi capelli scuri, raccolti in trecce, gli ricadevano sull’ ampio petto e sulle braccia scoperte.
Di statura più alta della media, le membra vigorose rivelavano subito una muscolatura potente e scattante, che lo faceva eccellere nelle fatiche quotidiane così come nella lotta o nello scontro armato.
Perfino il timbro di voce, oltre al sensato significato delle parole ne facevano un capo indiscusso. Ora rifletteva.
Sapeva per esperienza che anche le comunità della costa mal sopportavano le incursioni verso le pianure dei Pelliti, come da sempre erano chiamate le tribù montane.
Questi scendevano a valle per commerciare e per approvvigionarsi, ma non si facevano mancare redditizie ‘bardane’, abituali scorrerie sui pingui fondaci punici.
Inevitabilmente infatti, malgrado il convenzionale rispetto reciproco, anche le greggi e i raccolti delle comunità costiere, per quanto decentrati, venivano messi in pericolo durante le periodiche razzie, retaggio di antiche scorrerie sul mare e sulla terra.
Ora che Cartagine bussava pericolosamente alle porte erano venute a chiedere il suo aiuto; ma una volta scongiurato il pericolo, rese ardite dalla vittoria, non avrebbero tentato di rafforzare il loro potere sulla regione assalendo anche lui?
Ai suoi piedi la Sìbel sonnecchiava accoccolata su un vello di montone. I soffici capelli dorati accarezzavano come un’ombra tenue il viso sereno, in cui i denti bianchissimi brillavano, come sprazzi di luce.
Quando l’aveva intravista al fianco del Grande Anziano, assieme agli ufficiali venuti a parlamentare, non ne era rimasto particolarmente colpito.
Solo più tardi il suo sorriso e il timbro vellutato della sua voce sommessa, quasi da giovinetta, ma carica di vibrazioni sensuali, l’avevano affascinato. Era gentile e affettuosa. La guardò con tenerezza.
Fuori molte centinaia di guerrieri sonnecchiavano avvolti in manti di pelle tra i cespugli e le cavità delle rocce, appoggiati ai loro scudi di legno e di duro cuoio borchiato di bronzo.
I tre gruppi di tribù diverse, provenienti da contigue regioni montane, s’erano riuniti su invito di Shardon, cui era stato affidato il comando in capo.
Per meglio riposare molti si erano alleggeriti dei loro pesanti corpetti rinforzati da strisce snodate di metallo lucente e di pelle variamente intrecciata. Altri avevano deposto accanto al giaciglio gli schinieri e gli elmi cornuti.
Otto giorni prima, non lontano da Conasa dove s’era fermato per commerciare, un piccolo esercito preceduto da ambascerie s’ era fatto improvvisamente incontro a Shardon e ai suoi guerrieri vestiti di pelle conciata.
Non c’era stata battaglia. I sopravvenienti avanzavano con alte, ben visibili insegne di pace, preceduti da suonatori dall’incedere lento, che traevano da piccole canne intarsiate gradevoli armonie. Il Grande Anziano di Tharros aveva chiesto di conferire con Shardon.
Accompagnato dai rappresentanti dei consigli di Othoca, di Macopsisa e di Keren si era presentato al Pellìta con magnifici doni che lo avevano lusingato ma non convinto: due grandi spade bronzee con l’elsa intarsiata di madreperla per lui e delle coppe d’argento per i suoi capitribù.
Li accompagnava una magnifica schiava dagli occhi sereni che avevano poi lasciato nella sua tenda.
Le due armi dal taglio affilatissimo sembravano forgiate su misura per le sue robuste mani. Egli le aveva brandite con contenuta emozione, sentendole equilibrate e salde nell’impugnatura.
Sorpreso e incuriosito Shardon aveva fatto stendere delle pelli sotto una antica quercia e aveva invitato la delegazione ad accomodarsi.
Seduti in cerchio, avevano bevuto in bicchieri di corno del vino dolciastro, poi il Grande Anziano, dopo le presentazioni, con abile e suadente voce aveva detto:
“ Divino figlio del Grande Padre, che fu comune condottiero della nostra gente, il mio nome è Thorketor e reggo le sorti di Tharros.
Ti ringrazio di volerci ascoltare. I vostri dei sono i nostri dei. La Grande Madre con Melkart, Iolau, Sandon e gli stessi Arybas e Ashtart guidano le vostre come le nostre giornate.
Voi avete scelto le alte, fuggenti nubi della montagna, noi le basse nebbie del piano, ma i nostri popoli sono fratelli e non si sono mai scontrati. Antichi, comuni progenitori ci appartengono”.
Shardon sapeva che non era del tutto vero, ma era rimasto impassibile.
Non solo una scelta deliberata, dopo l’immane ira degli dei sul mare e sulla terra, tante, tante generazioni prima, ma anche il secolare incalzare nella pianura della colonizzazione agricola delle città shardano-fenicie, ed ora anche dei cartaginesi, aveva gradualmente spinto il suo popolo verso i pascoli montani.
Quanto poi all’origine comune, era pur vero che tra le genti della costa e quelle della montagna v’erano remoti filoni di affinità etnica, che però si andavano affievolendo per la continua commistione, nelle città marinare, con sangue d’altre stirpi. Perciò gli stessi bitanti costieri chiamavano Shardani o Sardani i loro consanguinei dell’interno.
Il pensiero andava al ricordo di remote, successive migrazioni, mosse da lontane regioni contigue se non comuni, che restava nella memoria collettiva e li accomunava in una affinità religiosa, portandoli a venerare con nomi diversi divinità consimili.
Così Sandon, l’antichissima divinità anatolico-mediterranea, il fenicio Melkart e la stessa Grande Madre presiedevano tutti al ciclo stagionale di rinascita, alla forza vitale della natura, alla luce vivifica del sole.
Li divideva comunque una latente ma rispettosa ostilità sin da quando le città, divenute potenti e autonome, non avevano più pagato, ed era ormai molto tempo, i primitivi tributi ai più vecchi e bellicosi autoctoni, quale prezzo di una immunità concordata.
Dopo una pausa il vecchio aveva ripreso in tono grave:
“ Ora, divino Shardon, una grave minaccia incombe sulle nostre genti.
La tirannica Cartagine, con grandi forze, muove contro di noi. E’ sua mira sottomettere Tharros e le altre città, per poi colpire e assoggettare chiunque altro, comprese le tribù della montagna.
Se restassimo separati la nostra fine sarebbe segnata, ma Tharros, Othoca, Keren e altre città hanno unito le loro forze”.
Il Grande Anziano aveva pronunciato con vigore le ultime parole, mentre i comandanti al suo seguito assentivano con lievi cenni del capo.
Il riferimento a una divina ascendenza per Shardon era ormai abituale, quasi di cortesia.
Non poteva comunque non tornagli gradito, visto che lo si faceva discendere, anche nel sentire comune, dall’antico progenitore, ormai divinizzato, che aveva guidato la sua gente sull’isola e sulla quale aveva insegnato a progettare e innalzare torri megalitiche.
Non solo. Egli che apparteneva alla tribù degli Akonites Iolaei, una delle più antiche, vantava una doppia remota ascendenza.
Oltre a quella della tribù di appartenenza, il suo stesso nome riportava a un’altra stirpe, che aveva dato il nome all’isola e che aveva in tempi lontani percorso i mari, assalito e difeso i faraoni, aveva servito e distrutto civiltà; ben lo sapevano i discendenti dei pochi Hittiti scampati dalla Grande Battaglia che il faraone dell’Egitto mai avrebbe vinto senza il valore sardano.
“ Sappiamo che l’invitto Malco sta per salpare da Karalis con molte navi, cariche di temibili combattenti sempre vittoriosi in Sikelìa. I nostri informatori ci hanno avvertito. Egli mira a occupare Tharros e le altre città. Ma sapremo difenderci e se anche il divino Shardon sarà con noi la vittoria non potrà sfuggirci; perché allora pure gli dei saranno con noi”.
L’accenno al favore degli dei era una mossa astuta. Il vecchio era saggio e abile. Il Pellita tuttavia, sorpreso dalla visita e ancor più dalla inattesa richiesta di alleanza, aveva preso tempo.
“ Come pensi, nobile Anziano, di poter resistere alla invitta flotta di cui parli? La bella Keren, la grande Tharros e la pingue Othoca non credo abbiano navi tali da poter competere in battaglia con quelle di Cartagine”.
“ Ma hanno solide mura e validi soldati, pronti a difendere le loro case e le loro famiglie. Tharros e Keren sono imprendibili dal mare. Ma anche sulla terraferma sapremo difenderci”.
Shardon aveva assentito, poi aveva chiesto ancora:
“ Perché le grandi città del mare chiedono l’aiuto dei Sardani della montagna se, come tu dici, i vostri stessi eserciti sono sufficientemente forti per contenerne l’attacco?”.
Il Grande Anziano capiva che Shardon, prudentemente, esitava; allora gli aveva elencato le sue forze.
“ Certo, sul mare non possiamo né vorremmo competere, ma sulla terraferma se assaliti possiamo resistere. Di due legioni dispone Tharros; d’una Keren con Gùruli e gli altri villaggi; oltre quindici centurie invia Othoca e altrettante ne promette Guspana col circondario.
Se alcune centurie di uomini restano a presidio delle città, almeno quattro legioni possono battersi sul campo contro Malco. Se non per numero, certo per valore il divino Shardon può
aggiungerne un’altra, se vorrà chiedere l’intervento anche degli altri popoli della montagna.
Riteniamo che siano sufficienti per arrestare il nemico. Forse anche per sconfiggere duramente i cartaginesi e scongiurarne il possibile ritorno”.
Con un rapido calcolo mentale Shardon trovò che, se il vecchio non aveva esagerato, in effetti le forze pur non potendo equivalersi con quelle nemiche, diventavano comunque di tutto rispetto.
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